UN NEW DEAL ENERGETICO?
Autore: Stefano Ceccatelli.
Di Alberto Ferrucci, economista e sociologo, si conoscono sia
l'attività di saggista (raccomando a tutti la lettura attenta
del suo bellissimo saggio Nord-Sud: che fare?, che è
anche una documentata inchiesta sulle cause della povertà
mondiale) sia il suo impegno in varie organizzazioni non governative
sul fronte della lotta al sottosviluppo.
Sul sito http://www.cittanuova.it
si ritrovano adesso alcune sue interessantissime considerazioni
che, anche alla luce di quanto accaduto dopo l'11 settembre, gettano
luce su molti retroscena economici e geopolitici dell'attuale
guerra "contro il terrorismo". Chi cercasse il testo
integrale lo può trovare sul sito citato. Mi limito qui
a riassumere brevemente le affermazioni fondamentali che in esso
sono contenute. Ritengo che ogni economista, scienziato, esperto
di tecnologie, degno di questo nome debba attentamente ponderarle.
Per quanto mi riguarda, le ritengo assolutamente condivisibili
e anzi meriterebbero un maggiore risalto e, soprattutto, una maggiore
applicazione.
Ma veniamo al dunque. La diagnosi che Alberto Ferrucci fa della
situazione attuale può essere sintetizzata nei seguenti
sette punti:
1. Il 16% dell'umanità, il cosiddetto "mondo industrializzato
(USA, Europa, Giappone), consuma più della metà
(il 52%) di tutto il petrolio estratto
2. Un tale ritmo di consumo ha abbondantemente superato il limite
della sostenibilità ambientale, come dimostra l'aumento
dell'"effetto-serra".
3. Malgrado ciò, si continuano ad ingannare i paesi in
via di sviluppo, continuando a proporre loro il modello occidentale,
come se esso fosse sostenibile per l'ambiente e come se le riserve
di petrolio fossero inesauribili.
4. Le riserve di petrolio del mondo sono concentrate in gran parte
nei paesi del Medio Oriente (Arabia Saudita, Iran, Iraq, Emirati
Arabi, Kuwait), mentre i maggiori giacimenti scoperti negli ultimi
anni sono situati in alcuni stati asiatici della ex Unione Sovietica,
come il Kazakistan, il Tagikistan e l'Uzbekistan.
5. Tutti questi paesi, ma anche altri come l'Afghanistan e il
Pakistan (vie alternative all'Iran per far giungere petrolio e
gas dagli stati ex sovietici fino all'Oceano Indiano), sono oggi
diventati di importanza strategica per il mondo industrializzato.
6. Pertanto l'Occidente è portato a esercitare su questi
paesi una sorta di 'tutela'. In pratica la sovranità di
questi paesi è limitata, perché la politica che
si attua in quei paesi deve essere funzionale alle esigenze del
mondo occidentale, tutelando le fonti energetiche di cui quest'ultimo
necessita
7. Questa situazione ha generato e fatto crescere fra le popolazioni
di questi paesi un generalizzato risentimento antioccidentale,
terreno favorevole allo sviluppo anche di gruppi terroristici
antioccidentali.
Fin qui la diagnosi, che trovo realisticamente fondata.
Ma la parte se possibile ancor più interessante dell'articolo
di Ferrucci è quella propositiva, che va al di là
delle considerazioni di carattere storico e chiede se sia possibile
andare "oltre una politica che sa di petrolio".
Ma lasciamo parlare l'autore: " Questa sfida (se sia possibile
ridurre la dipendenza energetica dell'Occidente , N. d. T.) potrebbe
risollevare l'economia dei paesi industrializzati, che oggi è
in bilico sul baratro di una recessione. Essa potrebbe essere
raccolta da subito, senza dover attendere l'affermarsi di energie
alternative. Basterebbero le tecnologie già applicate nella
produzione automobilistica odierna. Non si tratterebbe di puntare
su automobili azionate da nuovi combustibili, come l'idrogeno
delle celle a combustibile, che pure un giorno diventeranno di
grande vantaggio; ma semplicemente di puntare sulla riduzione
dei consumi di benzina.
Riduzione ottenuta non viaggiando di meno, ma utilizzando automobili
che consumano meno, che l'industria automobilistica ha già
realizzato. Ci riferiamo ad esempio alle "auto ibride":
automobili azionate a benzina ma dotate anche di un motore elettrico,
che permette di recuperare energia altrimenti dispersa, ad esempio
nelle frenate. Queste macchine sono di dimensione e di autonomia
tradizionale, e consumano, per 100 chilometri di percorso fuori
città, tre litri di benzina, e nel traffico meno di 4 litri.
Al momento il loro prezzo è poco competitivo, ma se fosse
iniziata una produzione di massa esso potrebbe certamente ridursi.
Al prezzo attuale appena superiore ai 40 milioni di lire
per recuperare dal risparmio di benzina il loro maggior
costo rispetto ad una macchina tradizionale, in Italia occorrerebbero
circa otto anni: ancora di più negli Stati Uniti, dove
la benzina è molto meno tassata: troppi anni per convincere
all'acquisto.
Ma se gli stati industrializzati decidessero, tutti d'accordo,
di agevolarne la produzione, le convenienze muterebbero drasticamente.
Si realizzerebbe un vero mutamento di politica energetica, perché
si passerebbe dal contenere l'inquinamento prodotto dai consumi,
al contenere i consumi stessi, riducendo così non solo
il bisogno di petrolio, ma anche la emissione di anidride carbonica,
senza penalizzare il trasporto privato".
Nell'ultima parte del suo articolo Alberto Ferrucci enumera le
disposizioni di leggi che dovrebbero accompagnare questo radicale
mutamento di strategia da parte dei governi e fa una stima del
risparmio energetico che l'occidente potrebbe ricavare da questa
riduzione dei consumi. L'autore risponde, infine, in maniera convincente
ad alcune obiezioni che si potrebbero fare contro simili provvedimenti.
Appare evidente che il mondo industrializzato ricaverebbe grandi
benefici da questo "new deal" energetico: renderebbe
non più necessaria la 'tutela' dei paesi sopra citati e
aprirebbe le porte ad uno sviluppo sostenibile anche dal punto
di vista ambientale, visto che il protocollo di Kyoto sarebbe
ampiamente rispettato.