Il razionalismo in età moderna: il
XVI secolo
Autore: Stefano Ceccatelli
Mi ripropongo di studiare, cominciando dal presente articolo
e poi in quelli che seguiranno, la nascita, lo sviluppo, l'apogeo,
il declino e la crisi di quel tipico fenomeno dell'età
moderna che va sotto il nome di razionalismo.
Di solito, la nascita del razionalismo viene posta nel XVII secolo,
il secolo della scienza. Ma già nel '500, come avremo modo
di vedere in quest'articolo, una corrente di razionalismo moderno
aveva mosso i suoi primi passi.
Il XVI secolo è il secolo della Riforma protestante .
Può sembrare paradossale. Ma come: non era stata la Riforma
quel movimento religioso di grande portata, tutto incentrato sul
principio della "sola fede" (sola fides)? Non
aveva detto Martin Lutero, il grande promotore della Riforma,
che solo la fede in Gesù Cristo può condurre il
cristiano alla salvezza?
E allora, come può avere avuto origine qui, in questo "solafideismo"
(mi si passi il termine), quel fenomeno di portata epocale, che
nel 1600 fu chiamato Razionalismo e nel 1700 Età del Lumi,
avente il suo centro nell'esaltazione della ragione umana?
In effetti, si tratta di un paradosso; ma è noto che le
storie paradossali sono assai spesso le più verosimili,
e pertanto mi appresto a raccontarla.
Tanto per inquadrare l'argomento sarà necessario spendere
due parole sulla Riforma.
Come ho già detto, l'iniziatore della Riforma protestante
fu il monaco agostiniano Martin Lutero il quale, nel 1517, affisse
sul portale del Duomo di Wittenberg le sue cosiddette "95
Tesi".
In esse, in estrema sintesi, il monaco agostiniano:
1. proclamava che solo la fede in Gesù Cristo salva il
cristiano;
2. affermava che le opere della Chiesa Cattolica (elemosine, penitenze,
indulgenze, pellegrinaggi, digiuni, culto dei santi etc.) erano
indifferenti ai fini della salvezza;
3. orientava i cristiani verso il cosiddetto "libero esame"
delle Sacre Scritture.
Proclamato eretico dal Papa Leone X, Lutero bruciò pubblicamente
la Bolla di scomunica (1520) e si salvò dal rogo solo per
merito del Principe Federico di Sassonia che lo protesse e lo
accolse nel suo castello.
Qui, nel castello di Wartburg, Lutero poté con calma affrontare
l'impresa della traduzione della Bibbia in tedesco.
Dopo questo rapidissimo excursus storico torno all'argomento
di questo articolo.
Qual era il rischio insito nella nuova dottrina luterana?
Il rischio era quello, e Lutero ne era estremamente consapevole,
di inciampare nello scoglio dell'individualismo.
In effetti, abolita la Chiesa, abolita la Sacra Scrittura nella
versione autorevolmente tradotta e interpretata dalla Chiesa,
abolita in fondo ogni mediazione esterna tra Dio e l'uomo, la
strada era spianata affinché ogni fedele elaborasse un
proprio personale cristianesimo, senza regole e senza riti, anzi
meglio, ognuno con le proprie regole ed i propri riti.
Un simile individualismo avrebbe potuto provocare la fine del
Cristianesimo come esperienza religiosa comunitaria.
Per evitare questo scoglio e mantenere la sua fede nell'alveo
delle spiritualità comunitarie, Lutero reintrodusse una
mediazione esterna fra l'uomo e Dio.
Questa mediazione fu di nuovo la Scrittura, ma stavolta nell'interpretazione
e nella traduzione date da Lutero stesso (sola Scriptura).
Questo espediente, se da un lato evitava l'individualismo e permetteva
la nascita di una Chiesa luterana, dall'altro introduceva un'insanabile
contraddizione nella dottrina di Lutero.
Spuntarono subito come funghi altri riformatori che, "a sinistra
di Lutero"2, rimproverarono al loro capostipite di aver teorizzato
il "libero esame" e di averlo poi smentito nei fatti.
Uno di loro, il bavarese Sebastian Franck, arrivò addirittura
a criticare il protestantesimo per aver sostituito all'egemonia
della Chiesa romana un'altra egemonia, quella della Bibbia, della
quale Lutero pretendeva di essere interprete infallibile.
Da questo momento, dal tronco luterano della riforma, germinarono
numerosissime sette eretiche, tutte imperniate, nonostante la
loro diversità, su quel principio del libero esame su cui
si era inizialmente orientato Lutero.
Secondo i capi di queste sette non c'era scampo: se si voleva
salvaguardare il libero esame, bisognava rinunciare ad ogni mediazione
esterna fra Dio e l'uomo e, di conseguenza, ad ogni "autorità"
esterna alla coscienza del singolo individuo, fosse questa una
Chiesa o una qualsiasi Sacra Scrittura.
Solo la coscienza individuale, ben presto identificata con la
Ragione (ratio), poteva svolgere il ruolo di Interprete
Supremo delle scritture.
E' molto istruttivo, al riguardo, il seguente passo del savoiardo
Sebastiano Castellion (1510ca 1563): "La ragione
è, oso dire, figlia di Dio; essa fu la prima di tutte le
Scritture e cerimonie, prima anche della creazione del mondo;
essa sarà sempre, dopo tutte le Scritture e cerimonie e
anche dopo il capovolgimento e il rinnovellamento dello stato
di questo mondo, e Dio stesso non vi può rinunziare. La
ragione, dico, è come un discorso eterno di Dio, molto
più antico e sicuro delle Scritture e delle cerimonie.
() Secondo essa visse Gesù Cristo, () perché la
ragione è come un discorso continuo della verità
che non cessa di parlare eternamente dentro di noi".
In questa che è già una prima forma di "deismo",
la Ragione contenuta nelle Scritture e la razionalità del
credente occupano il posto che la sola fides e la sola
scriptura avevano nella teologia di Lutero.
Se non ché, in questa prospettiva razionalista, si finirà
col negare i miracoli, la resurrezione, il "mistero"
della fede cristiana, e si aprirà la strada a quella eliminazione
del soprannaturale che sarà caratteristica delle filosofie
successive.