La statua della responsabilità
Autore: Stefano Ceccatelli
13 Maggio 2001, ore 22. E' finita, finalmente, questa interminabile
campagna elettorale. Non ne sentiremo la mancanza. Il triste spettacolo
di aggressioni e violenze verbali andato in onda in questi mesi
ci ha dimostrato che siamo ancora lontani dal saper esprimere
una classe dirigente degna di questo nome. E' necessaria un'educazione
alla politica. Chiediamoci allora: che cos'è la politica?
Il termine viene dal greco "polis" (=città)
e richiama una comunità di persone che vivono associate
e devono perciò tendere alla miglior forma possibile di
convivenza, per il bene di tutti e di ciascuno. La politica, quindi,
è servizio per il bene comune.
Il rispetto reciproco fra i politici dei diversi schieramenti
dovrebbe allora essere il prerequisito indispensabile affinché
si possa avere un qualsiasi buon governo. Ma questo rispetto reciproco
viene spesso tanto invocato a parole quanto disatteso nei fatti.
Eppure non si faranno passi avanti finché non impareremo
a rispettare gli altri come noi stessi. L'altro va riconosciuto
non solo come uguale in astratto, ma accettato nella sua specificità,
riconoscendo cioè l'uguale nel diverso.
I politici sono sicuramente i principali responsabili di questo
stato di cose.
Una tale responsabilità, tuttavia, a mio modo di vedere,
ci investe un po' tutti. Diciamoci la verità: una società
civile ha i politici che si merita; politici irresponsabili e
tesi unicamente al proprio tornaconto sono il segno inequivocabile
di una società civile ancora immatura e poco incline all'altruismo.
La situazione migliorerà nella misura in cui sapremo realizzare
quella vocazione alla "polis" a cui ogni cittadino è
chiamato.
Ma cosa vuol dire realizzare la propria vocazione alla "polis"?
Vuol dire che dobbiamo sforzarci di essere uomini e donne nuovi
proprio là dove siamo, nella nostra famiglia, nel nostro
lavoro, nel nostro quotidiano, portando, là dove siamo
chiamati, il nostro impegno, la nostra responsabilità per
noi stessi e per gli altri, la nostra parte di altruismo, il nostro
sforzo per costruire legami sociali.
E' necessario superare il nostro egocentrismo, che ci porta a
considerare unicamente il nostro utile individuale, per aprirsi
anche alle necessità degli altri. Solo da cittadini così
potranno nascere politici degni di questo nome.
Ma chi può fare questo passo gigantesco da solo? Io credo,
obiettivamente, nessuno. Ma quello che è impossibile
fare da soli, può diventare possibile facendolo insieme,
se ci educhiamo, responsabilmente, a cooperare per i valori e
a tendere insieme verso i medesimi ideali e le medesime mete.
C'è un'immagine che mi piace molto e che è del grande
psichiatra austriaco, di origine ebraica, Viktor Frankl: come
sul versante occidentale dell'Oceano Atlantico campeggia la statua
della libertà, a celebrare un valore diventato ormai patrimonio
vissuto dell'umanità, così, su quest'altro versante,
costruiamo insieme la statua della responsabilità.
Ma per far questo sono necessari uomini nuovi. Ecco allora l'importanza
dell'educazione: uomini nuovi, uomini di pace, non si nasce ma
si diventa. Presupposto dell'educazione alla pace è educare
i giovani a confrontarsi con i valori della propria tradizione,
delle altre culture ed anche con i valori "inediti"
di cui spesso proprio loro sono i portatori. Anche la scuola delle
3 I (Inglese, Internet, Impresa), senza tale presupposto,
corre il rischio di lasciare i giovani sprovvisti di ogni indicazione
di senso per la vita di oggi e di domani.
Ricominciamo dunque dalle nostre radici, da quell'altra I
da non dimenticare, la I di Italiano. A percorrere questa
strada, su questa Rivista, si è già incamminato
Flavio Gori, con i suoi interessanti articoli sull'Accademia della
Crusca e sul cosiddetto metabolismo linguistico. Ci vorrei procedere
anch'io già a partire dal prossimo articolo.