Autore: Flavio Gori
La città di Firenze e le zone circostanti, per non parlare dell'intera Toscana, sono spesso ricordate come una sorta di patria dell'artigianato. Da tantissimi anni, a Firenze, si tiene una Mostra Dell'Artigianato che ricordo di aver seguito fin da bambino.
La professione artigiana si esplicava per lo più in piccole
botteghe dove l'artigiano portava avanti il suo lavoro, talvolta
coadiuvato da un ragazzo che "imparava il mestiere"
e ci si dava daffare per inventare soluzioni che potessero risolvere
il problema del cliente, chiunque esso fosse, dalla casalinga,
al commerciante, ad un artigiano che operava in un altro settore,
fino al piccolo industriale che ricorreva all'artigiano per sistemare
quella particolare "cosa" che non ne voleva sapere di
funzionare, per farsi costruire una macchina ad hoc, o restaurare
un particolare oggetto di famiglia.
Nella bottega artigiana di mio padre Marino ho assistito a varie richieste di questo tipo fino ad arrivare a quella di un importante istituto di ricerca che chiedeva la sua collaborazione per la costruzione di uno strumento di particolare precisione. Anche mio padre aveva iniziato facendo esperienza in alcune botteghe per poi sganciarsi e rendersi indipendente con una bottega che dava direttamente sulla strada nella quale trovavano posto i vari strumenti necessari alla costruzione delle varie macchine che erano il nocciolo della sua attività. Si trattava di manufatti da lui progettati e costruiti e non è detto che fossero sempre uguali al precedente, ma spesso si adattavano alle richieste specifiche del cliente. Una flessibilità sconosciuta alla grande e media (e spesso anche piccola) industria. Un risvolto con cui mi sono in seguito scontrato e che all'inizio, dato l'ambiente in cui sono cresciuto, non riuscivo neanche a concepire.
Il bello era che non ci si limitava a costruire un certo oggetto
per fare altre cose, ma si era perfettamente in grado di ripararlo,
dato che nel concetto lavorativo dell'artigiano, non vi era la
sostituzione del manufatto, ma la riparazione anche certosina.
L'attività artigianale ha attraversato molte epoche storiche.
Possiamo dire che quando l'uomo ha iniziato a forgiare strumenti
di lavoro o creare attrezzi di vario genere, lì è
nato l'artigianato.
Questo significa che l'artigianato nel suo concetto più
vero ha superato guerre, imperi, dittature, epidemie, alluvioni,
terremoti, eruzioni vulcaniche e quant'altro possa esser capitato
a questa Terra, senza particolari problemi e mantenendo intatte
tutte quelle caratteristiche che ne hanno fatto una fondamentale
presenza nel campo economico italiano e non solo. Basta dare uno
sguardo alle immagini che ci giungono dai vari Paesi del mondo,
specie quelli cosiddetti in via di sviluppo, per capire come l'artigianato
sia tuttora ben presente e importante nell'economia mondiale.
Meglio ancora se prestiamo parte della nostra attenzione nel caso
di visite in questi Paesi.
Nel tempo il nostro artigianato si è evoluto fino a raggiungere
livelli di grande qualità in vari settori e non solo quelli
più conosciuti come quelli relativi alla oreficeria, gioielleria,
della moda o connessi con il mondo artistico in generale. Questi
artigiani hanno lasciato la piccola borghesia per entrare trionfalmente
nella borghesia alta, se non altissima. Nello stesso tempo hanno
portato il concetto di artigianato verso una forma d'arte a tutto
tondo, assumendo posizioni più vicine all'artista che non
all'artigiano in quanto operatore manuale, uno che lavora di braccia
e ingegno, che ci mette del suo per raggiungere un risultato positivo.
Di pari passo si è sviluppata una diversa concezione dell'artigianato
anche verso altre direzioni. Ho personale memoria che, almeno
dalle parti di Firenze e Sesto Fiorentino, a partire dalla prima
metà degli anni '70 del secolo scorso, alcuni artigiani
entrarono in contatto con industrie per lo più (ma non
solo) settentrionali che proponevano all'artigiano di modificare
la propria attività e semplicemente costruire un alto numero
di parti di un oggetto che poi la grande industria avrebbe assemblato
riunendo tutta una serie di pezzetti costruiti da un gruppo di
aziende "artigianali" che, in quel modo, avrebbero abdicato
alla loro attività tradizionale, per diventare un'altra
cosa. Ad esempio semplici fornitori di altri, azzerando il contributo
d'ingegno personale da sempre parte fondamentale dell'attività
artigianale.
Questo significava cambiare impostazione lavorativa, acquistando
macchine in grado di lavorare su grandi numeri di pezzi costruiti
per lo più in maniera automatica da queste macchine. Quindi
anche nel piccolo e piccolissimo, entrava il concetto di macchine
per costruire altre macchine. Una bella sterzata in confronto
al concetto di lavoro artigianale, sia nel settore meccanico che
altrove.
Questo è quanto avvenne ed è avvenuto sempre più
nel corso degli anni e la suddetta Mostra dell'Artigianato ne
è stata testimone molto fedele. A questo punto con "artigianato"
si intende qualcosa che ha a che vedere con un'attività
più simile a quella industriale seppure in scala ridotta.
Una sorta di ulteriore scalatura al ribasso, dopo la piccolissima
industria viene l'artigianato. Ma ha senso? Certamente no, perché
l'artigianato classico ha un altro approccio all'attività.
Nello stesso tempo il concetto commerciale di "mercato"
cominciava a cambiare in maniera più rapida che non in
passato e veniva fatto passare e accettare un sistema secondo
cui le cose non si riparano ma si buttano e si ricomprano. Così
sono più belle, più nuove e magari di minor prezzo
(molto spesso anche di minor qualità, ma questo non si
diceva).
Si era insomma pronti (o altri volevano che così credessimo)
per una variazione epocale che spalancava le porte alla grande
distribuzione, minando il futuro delle attività dei piccoli
commercianti che, forse, ci avevano messo del loro preoccupandosi
per lo più di lucrare sull'immediato senza curarsi di quello
che sarebbe potuto venire dopo, organizzandosi per proporre altro,
senza stabilire un rapporto con l'acquirente. Per carità!
non si vuole dire con questo che avrebbero potuto controbattere
da soli lo strapotere dei grandi del settore che in quasi tutti
i casi riescono a vendere al cliente finale ad una cifra più
bassa di quanto il piccolo negoziante riesce a comprare, ma certo
qualche errore è stato fatto anche dai bottegai e dalle
loro associazioni di categoria.
Ad alcuni forse avrebbe fatto comodo l'ingegno di proporre qualcosa
di diverso ai propri clienti. Come se fossero un po' artigiani
del loro settore e non solo bottegai. Chi lo ha fatto, ha certamente
proseguito, ed in certi casi ampliato, la propria attività.
Un altro importante risvolto della defenestrazione di questi piccoli
negozi a favore di grandi centri di vendita è che il più
delle volte hanno svuotato i paesi, specie quelli più piccoli
- ma non solo, della funzione secondaria di alcuni negozi, ovvero
di punti di ritrovo dove ci si poteva fermare a fare 4 chiacchiere
fra amici e conoscenti. Adesso i centri della grande distribuzione
sono fuori dai piccoli centri abitati, anche perché hanno
bisogno dei grandi spazi che si trovano solo fuori paese o città,
creando un ulteriore problema alla popolazione anziana che non
sempre ha a disposizione un'automobile per andare a fare la spesa.
Si nota spesso questa mancanza di attenzione nei nuovi centri
commerciali e se dispiace in generale, fa ancora più male
quando si vedono scelte di questo tipo portate avanti dalle Coop.
In certi casi, magari dopo forti richieste della popolazione,
viene mantenuto un punto vendita nel centro del paese, specie
per il settore alimentari, ma non sempre avviene.
Ma anche i nostri artigiani, si diceva, soffrivano e soffrono
di questa decisa sterzata del mercato. Essi in molti casi vendono
quello che producono e, anche nel caso che il loro lavoro sia
di qualità, non pochi vanno fuori mercato: i loro prodotti
diventano troppo cari rispetto a quanto si trova al "supermercato",
indipendentemente dalla rispettiva qualità. E poi la moda
del momento (a partire dagli anni '60) comincia a dire che è
bello cambiare e non riparare. Diventa troppo difficile: andare
contro la moda è praticamente impossibile, specie quando
questa viene propagandata da mezzi molto convincenti nuovi e moderni
come la televisione.
Questo cambiamento pone una serie di rilevanti problemi all'artigianato
e molti di coloro che avevano mantenuto la vera tradizione artigiana
devono chiudere le loro attività. Le loro botteghe sono
sostituite da negozi di abbigliamento, pizzerie, paninoteche (già,
proprio così le chiamano), piccoli ristoranti, fast-food
ed il centro fiorentino (e non solo) cambia faccia. Quello che
non era successo in secoli e secoli, accade in poche decine d'anni.
In questo modo si perdono anche secoli di esperienza, di qualità,
di lavoro d'eccellenza e non si intravede chi o come li possa
sostituire.
Un vero peccato anche perché, per lo più, l'artigiano
era in grado di risolvere situazioni anche se non proprio parte
della sua attività primaria. L'ingegno, la sua voglia di
capire ed agire era la sua qualità superlativa e grazie
ad esso riusciva a risolvere tante questioni.
Naturalmente questo non significa che non siano più rintracciabili
questi grandi lavoratori del ramo che io definisco dell'ingegno
e difatti nel mio studio ho mobili e scrivania fatti da un artigiano
che, a maggior conferma, non è un mobiliere di professione.
Eppure la sua cura nel pensare e poi nel fare le cose è
tale che riesce a risolvere anche questioni spinose, in quanto
abbiamo a che fare con più aspetti complessi da far quadrare
nello stesso momento e naturalmente in uno spazio limitato quale
quello della mia mansarda.
Non ho alcun dubbio, è a lui che mi rivolgo in questi casi.
D'altro canto la sua perizia si è evoluta in vari campi
dove ha sempre dimostrato ingegno sin da ragazzo, nella sua Persia.
Ed ora che vive a Firenze (da oltre 30 anni) non ha certo dimenticato
questa sua invidiabile caratteristica che, anzi, si è evoluta
con l'esperienza e la modestia del saper guardare e capire.
Il suo lavoro primario è la riparazione di tappeti orientali
di particolare pregio, che può fare grazie agli insegnamenti
classici di cui ha potuto usufruire, ma questo non significa che
non sia in grado di assemblare o riparare un computer o installare
perfettamente un sistema televisivo satellitare oppure progettare
e costruire un'antenna mirata ad una certa banda di frequenze
radio, magari quelle dove alberga il rumore più fastidioso
e temibile ma che, grazie alle sue intuizioni, si riesce a tagliare
molto bene.
Entrare nella sua bottega è un piacere anche per gli occhi.
Un caleidoscopio di colori ci appare improvvisamente, tappeti
arrotolati ricoprono le alte pareti. Prestando la dovuta attenzione,
con il rovescio del tappeto in vista ci rendiamo ben conto dei
nodi pazientemente tessuti e quindi del tipo di cucitura usata,
fra le tante che caratterizzano la tradizione persiana, afghana,
pakistana e le loro varie regioni.
Antiche opere manuali, panchetti, strumenti musicali, tutto ricorda
la manualità ed il gusto tipici della tradizione medio
orientale. Preziosi libri ci rammentano che i tappeti creati nella
migliore tradizione orientale, non ammettono scorciatoie, i tempi
per produrre un manufatto di alta qualità non sono brevi
e, di conseguenza, i prezzi non possono essere così a buon
mercato come a volte parrebbe trasparire da certe trasmissioni
televisive. Le tecniche di cucitura, quelle per la produzione
del colore come previsto nei sistemi classici sono tali che mal
digeriscono tempi brevi.
Il banco di lavoro in legno massiccio, grande e robusto dove alberga
una serie infinita di attrezzi da lavoro di antico e moderno stampo
è lì in bella mostra ed ognuno di questi prende
vita sotto le sapienti mani dell'artigiano. A volte rapido a volte
meno, a volte lento, molto lento perché questo richiede
il tipo di lavoro a seconda dei passi che sta eseguendo. I lavori
e le loro fasi non sono tutti uguali e dobbiamo tenerlo presente
per rapportarci ad ognuna nella maniera giusta per avere un buon
risultato. Non ci sono scorciatoie, si diceva, nel vero artigianato.
Per quanto mi ha insegnato l'esperienza personale posso dire che
è davvero così e il mio amico Nader Javaheri è
senz'altro un limpido erede della nostra tradizione artigianale
più pura. Forse anche in Persia esistono gli artigiani
come noi li intendevamo ed è per questo che Nader è
capitato (apparentemente) per caso qui a Firenze.