Autore: Flavio Gori
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e per molti anni, il ruolo internazionale degli Stati Uniti, universalmente riconosciuto in Occidente, è stato quello del portabandiera della cultura occidentale ad ampio raggio, nonché di una sorta di gendarme nei confronti dell'altra Super Potenza mondiale: l'Unione Sovietica. Entrambe queste Nazioni hanno avuto la fortuna di trovarsi in aree geografiche in grado di fornire ricchi giacimenti minerari, controllare zone importanti geopoliticamente, ma sono state anche in grado di sviluppare imponenti capacità di sviluppo industriale, anche a costo di pagarlo in termini di inquinamento ambientale pesante e di costringere le proprie popolazioni a vessazioni e limitazioni della libertà individuale più o meno evidenti ma presenti in entrambi i sistemi politici. Spesso era proprio la paura dell'altra potenza e delle relative minacce alla rispettiva indipendenza, alla guerra sempre pendente e minacciata che faceva digerire queste limitazioni, anche in Occidente. La paura creata per stabilizzare il potere.
La competizione fra le due Nazioni fu giocata per vari anni in
tutti i campi, dall'economico, allo scientifico, passando dal
militare. Con il crollo del Muro di Berlino, lo sgretolamento
dell'impero sovietico fu evidente e di lì a poco la potenza
dei Soviet evaporò in un tempo così breve da far
nascere il sospetto che il germe della sconfitta si fosse ormai
ben instillato all'interno del burocratico e rigidissimo regime
di Mosca e che esso non fosse più in grado di sopravvivere
da molto tempo.
Da quel momento gli Stati Uniti furono riconosciuti a livello
mondiale come il vincitore della Guerra Fredda e, senza più
un nemico definito da combattere, gli ottimisti di tutto
il mondo erano uniti nel ritenere che la Terra fosse avviata verso
un periodo di pace e prosperità, senza guerre, nè
timori per simili problematiche, almeno a livello globale e quindi
in grado di distruggere l'intero pianeta in pochi secondi.
L'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (USSR) implose,
gli Stati che la formavano tornarono indipendenti con la Russia
che rimase una sorta di erede della potenza della vecchia e defunta
Nazione. Come spesso capita, una volta naufragato un saldo equilibrio,
non fu semplice ricrearlo e probabilmente anche oggi a quasi diciotto
anni dal crollo del muro berlinese non possiamo dire che sia stato
raggiunto.
Certo il fatto che la censura informativa dell'USSR non permetteva
alle notizie "sgradite" di pervenire all'esterno della
località interessata e quindi anche un'eventuale scarso
equilibrio preesistente al crollo del Muro, non sarebbe stato
avvertito, se non in minima e presunta parte.
Ad ogni modo l'evolversi confuso e politicamente instabile
dei Paesi dell'ex USSR, faceva ritenere che buona parte di questi
si sarebbe presto accordata con gli USA per divenire se non un
satellite della potenza americana, certo non un suo fiero oppositore.
Alcuni dei politici al potere a Mosca, anche di primissimo piano,
sembravano ricoprire le loro cariche giusto grazie ai loro fin
troppo cordiali rapporti con l'ex nemico occidentale, con conseguenti
vantaggi per alcuni gruppi industriali americani in aree di particolare
rilievo strategico, economico e geopolitico.
A fronte di queste positività per gli USA, si iniziarono
a intravvedere alcune crepe nella potenza americana e nella sua
economia, crepe che non è azzardato riconoscere come create
dallo stesso sistema economico americano e l'ingordigia per l'immediato
che talvolta lo caratterizza.
Tale sistema si era sino ad allora evoluto grazie al concetto
di paura del nemico e l'improvviso venire a mancare di tale nemico,
sembrava aver rallentato la locomotiva economica americana che
dava qualche segno di impantanamento. In certi casi sembrava quasi
che la sconfitta dell'avversario avesse dato la stura a ulteriori
e ancora più spregiudicati sistemi di colonialismo economico
che furono definiti con una parola che avrebbe avuto un grande
successo: globalizzazione.
Forse badando all'immediato e non a una programmazione più
organica e tesa al lungo periodo, che invece sembrava regnare
durante la competizione con l'USSR, anziché rivedere e
riprogrammare se stessa su basi diverse, la nazione americana
cominciò a guardarsi intorno per trovare un nemico sufficientemente
riconoscibile come tale anche dall'opinione pubblica. Ma non era
facile, al punto dove eravamo giunti trovare uno Stato che potesse
rimpiazzare l'USSR come nemico-tipo, pertanto s'imponeva un ripensamento
generale della politica estera americana, alfine di ritrovare
il bandolo della matassa politica e rinnovare la potenza nord
americana.
L'economia americana sembrava comunque a prova di bomba. Non
bastasse la forza economica derivata dal sistema stesso e dalle
risorse minerarie ed energetiche, questa ricchezza e la straordinaria
evoluzione del mercato interno della Nazione americana ha da
sempre stimolato l'intraprendenza commerciale di ogni Stato del
mondo che cerca di vendere i propri prodotti nel ricco mercato
americano, oppure produce in proprio prodotti poi commercializzati
con marchi americani.
Un altro sistema che molti Stati del mondo hanno usato per entrare
in contatto con il mercato americano, e testimoniare la loro fiducia
nel suo sistema, è stato quello di acquistare Buoni del
Tesoro emessi dagli USA, ovvero i titoli del debito pubblico americano.
A fine 2006 circa il 50% dell'intero ammontare del Debito americano
era in mani straniere e la sola Cina ne possedeva una percentuale
intorno al 35%, ovvero diverse migliaia di milioni di dollari.
Nel corso del 2007 tali percentuali sono diminuite a causa di
una diversificazione intrapresa dalla stessa Cina e da altre Nazioni,
fra cui i ricchi Paesi arabi produttori di petrolio che, in questo
modo, hanno sancito una differenza importante e sostanziale di
valutazione del rischio verso lo stato americano (e quindi della
sua economia e del dollaro), rispetto al passato.
Stiamo parlando di Stati che devono le loro ricchezze (assai
vaste) a consolidati rapporti economici con gli Stati Uniti. Tali
rapporti sono stati in grado di far evolvere le ricchezze degli
Stati in questione a livelli impensabili senza l'ausilio dei consumi
americani, del modello di vita occidentale ed in tempi così
brevi da far riflettere sulle capacità dei Governi americani
non solo, per quanto importantissima, di lungimiranza economico/politica
ma anche di semplice trattativa di compra-vendita, oltre che sul
livello dei consumi della popolazione americana (e dell'Occidente
in genere).
Anche in questi casi si ha la sensazione che sia stata lasciata
una mano fin troppo libera alle multinazionali ed al loro concetto
di mercato.
La forza della Nazione americana, sia
dal punto di vista economico-finanziario, che militare e politico
ha da tempo portato tutti i Paesi del mondo ad accettare il Dollaro
americano come moneta di scambio internazionale per la compra-vendita
delle transazioni internazionali, in particolare per quelle relative
alle fonti primarie energetiche che significano enormi flussi
di denaro e quindi enormi flussi di moneta e oro che da ogni parte
del mondo confluiscono verso gli USA offrendo alla potenza americana
un importante beneficio grazie al fatto che dovendo acquistare
Dollari, tutti i Paesi del mondo pagano quella che alcuni definiscono
una sorta di tassa finanziaria che si rivela un eccellente
sistema per iniettare denaro fresco e quindi cofinanziare la Nazione
americana a costo zero.
E' abbastanza chiaro che gli Stati Uniti non possono permettersi
di perdere questi copiosi afflussi di denaro che, nati come un
ulteriore sostegno all'economia americana, nel tempo sono diventati
colonne insostituibili della politica economica che ha preferito
perdere parte dell'industria manifatturiera, a favore di aziende
dell'estremo Oriente, per avere migliori margini commerciali nelle
più forti catene retail, senza per questo beneficiare i
lavoratori delle suddette catene che, anzi, hanno visto diminuire
sia le loro retribuzioni che le loro sicurezze contrattuali. Anche
da questo punto di vista vediamo che queste operazioni si sono
dimostrate una sorta di testa di ponte per poi allargare simili
sistemi, poco raccomandabili per le sorti di milioni di famiglie,
al resto del mondo occidentale o, per meglio dire, a quella parte
del mondo che meno è attenta alle conquiste dei suoi lavoratori.
L'Italia è fra queste realtà.
Una sorta di spolpamento di risorse per una parte importante
della catena produttiva e quindi a sfavore di chi lavorava in
questi settori, a vantaggio della grande distribuzione ma, come
abbiamo visto, non ai lavoratori dell settore che hanno dovuto
chinare la testa davanti allo spettro del licenziamento tout court.
Certo si creava un forte problema di diminuzione di posti di lavoro
e di capacità di acquisto a vantaggio di una parte privilegiata
ma sempre più piccola che, seppure in grado di acquistare
molto, prima o poi non sarebbe stata più in grado di mantenere
stabile il mercato interno e quindi garantire lavoro per tutti.
Un ulteriore sistema intrapreso dagli
Stati Uniti per mantenere in vita questo sistema di contribuzione
dall'estero, è stato quello di proseguire la cosiddetta
politica di cooperazione internazionale già seguita nel
passato da altre potenze internazionali per seguire la quale sono
state messe in campo alcuni Enti finanziari e bancari a livello
internazionale.
Talvolta tali organismi sono stati accusati di praticare tassi
di sconto alle Nazioni più deboli, esageratamente alti
e tali da compromettere le economie di quegli Stati africani o
asiatici che, pur avendo ricchezza di materie prime e che quindi
dovrebbero essere in una posizione di rilievo nel panorama economico
internazionale, vengono tenuti costantemente in una condizione
di grave debolezza finanziaria per cui alcuni aiuti finanziari
diventano una sorta di mutuo perenne che paiono non essere mai
in grado di rifondere.
A valle di questo, la condizione economica delle popolazioni di questi Stati resta di grave disagio e imperano la fame, la sete e rischi di gravissime malattie che decimano la popolazione, specie la più giovane, con tassi di mortalità nei bambini altissimi e speranze di vita che si attestano sui 35/40 anni.
Stiamo lavorando per voi.
Ci sono alcuni aspetti dell'organizzazione dei rapporti internazionali, fra Stati, che sembrano congegnati per gratificare finanziariamente il Paese che detiene una sorta di Status primario mondiale. Nello specifico stiamo parlando del Fondo Monetario Internazionale, dei pagamenti delle transazioni internazionali (in particolare di quelle che riguardano le materie prime ed energetiche) e delle Agenzie di Rating, ovvero quelle strutture private che sono sorte per misurare la salute finanziaria di aziende grandi e grandissime nonché, ultimamente, anche degli Stati.
Il problema è che tali Agenzie controllano ma non sembrano
controllate, per cui potrebbe darsi il caso che se fosse presa
la decisione di facilitare alcune politiche economiche e le strutture
finanziarie che le propongono oppure certe politiche verso (o
contro) un certo Stato (o gruppo di Stati) nessuno potrebbe capire
se i dati pubblicati da queste Agenzie sono veritieri e quanto.
L'ipotesi non è così fantasiosa come potrebbe sembrare
e la questione dei mutui subprime, scoppiata a livello
mondiale verso la metà del 2007, è qui per dimostrarlo.
Sia verso i cittadini che ci hanno rimesso i poveri averi di cui
disponevano (a parte il sogno infranto della casa, prima avuta
e poi tolta), sia verso tutti quegli investitori grandi e piccoli
che ci stanno rimettendo più o meno a seconda del livello
d'investimento. In questo non sono state fatte discriminazioni:
privati cittadini, piccole e grandi banche, nonché enti
pubblici, a tutti è stata data la possibilità di
pescare nel torbido, spesso senza esserne a conoscenza, creando
una sorta di diaspora del rischio, internazionalizzato
e spesso senza che i compratori ne avessero adeguata conoscenza,
anche a causa del fatto che i titoli più a rischio erano
come nascosti dentro pacchetti finanziari preconfezionati in cui
si trovavano anche titoli ben più conservativi.
Si tratta dell'ultimo ritrovato (al momento conosciuto) della
finanza creativa americana ideato per creare e intascare grandi
quantità di denaro a spese di altri.
Ma torniamo ai finanziamenti concessi alle Nazioni definite
in via di sviluppo, secondo il metro Occidentale.
Una volta che gli Stati meno fortunati (anche se ricchi di materie
prime) sono considerati dal FMI meritevoli di finanziamenti (forse
proprio grazie ai minerali di cui sono ricchi), i prestiti concessi
debbono essere restituiti in Dollari americani con i tassi d'interesse
che il Fondo decide sulla base di un Consiglio Direttivo controllato
dagli USA.
Nel caso che i Paesi beneficiari dei finanziamenti abbiano beni
naturali (più spesso) o manufatti con cui permutare parte
del finanziamento, le valutazioni dei beni sono effettuate in
Dollari. In questo modo gli USA possono venire in possesso delle
prelibate materie prime a prezzi di particolare favore e talvolta,
negli anni scorsi, si era notato che il valore del Dollaro tendeva
ad aumentare quando gli USA dovevano comprare e a svalutare quando
gli USA dovevano vendere i loro prodotti. In questo modo gli Stati
Uniti sono stati in grado di comprare bene e vendere meglio. Un
privilegio usualmente non a disposizione di molti Stati.
E' interessante verificare il livello dei tassi d'interesse
praticati ai Paesi beneficiari che spesso finiscono per dover
cedere ad altri le loro maggiori e più ghiotte risorse
minerarie a prezzi assai convenienti, per di più rischiando
di non poter uscire dal loop generato dal mix finanziamento +
interessi che finisce per creare ricchezza all'FMI e ai Paesi
ricchi e povertà (spesso estrema) per l'altro Paese.
A costo di imporre condizioni molto pesanti al proprio popolo,
alcuni stati asiatici negli ultimi mesi sono riusciti a rifondere
quanto dovuto al Fondo Internazionale, per poi dichiarare ufficialmente
di uscire dal Fondo per trovarsi altre forme di finanziamento,
meno stressanti.
Un fastidioso precedente che rischia di generare un effetto domino
quantomai sgradito.
Oltre a quanto sopra riportato, non dobbiamo dimenticare un altro sistema normalmente usato per rimpinguare le casse americane di denaro fresco. Le transazioni fra la quasi totalità degli Stati vengono dunque regolate in Dollari, sia che si tratti di prestiti internazionali dell'FMI, sia che si tratti di transazioni di materie prime fra Stato e Stato. In entrambi i casi si tratta di cifre estremamente rilevanti, in particolare quando si tratta di beni energetici come il petrolio, e ogni Stato è costretto ad acquistare il biglietto verde alla fonte: gli Stati Uniti d'America.
Gli eventi tratteggiati generano una massa di denaro a favore
degli Stati Uniti di vaste proporzioni. Con tali forme di finanziamento
a costo zero sarebbe quasi possibile mantenere in vita l'intero
sistema USA, se non fosse per la straordinaria necessità
di consumo che è tipica di quello Stato. Sotto certi aspetti
possiamo dire che gli Stati Uniti hanno imposto agli altri Paesi
del mondo una flusso di denaro grazie al quale essi mantengono
in essere uno straordinario mercato dal quale anche le altre Nazioni
possono trarre vantaggio purché abbiano qualcosa da vendere
nell'enorme mercato americano e quindi non avranno interesse ad
abbattere tale flusso finché gli Stati Uniti resteranno
il mercato più vasto del mondo.
Una sorta di circolo vizioso o perverso (a seconda dei punti di
vista) dove senza dubbio il vantaggio maggiore è a favore
dello stato nord americano che almeno dal termine della seconda
guerra mondiale, poi consolidato dallo sganciamento del valore
del Dollaro dall'oro, ha trovato ottimi sistemi per farsi finanziare
da tutte le altre Nazioni senza eccezione e a costo zero.
Tale grande idea è stata resa possibile, probabilmente,
dalla forza politica, economica e militare americana che non ha
permesso di mettere in discussione la proposta e i suoi termini
ad alcuno degli altri Stati, pena l'uscita dal mercato più
importante del mondo.
1) CONTINUA